martedì 3 aprile 2012

Uno su Tre. Disoccupazione giovanile al 31.9%

Devo dire una cosa antipatica, perché mi frulla in testa da parecchi giorni.
Una cosa che alle volte mi affatica anche solo pensare, perché la mia formazione è sempre stata differente.
Dopodiché esiste la vita reale, che prescinde un po' dalla formazione che uno ha, e si è costretti a farsi i conti.
La situazione che stiamo vivendo in questo momento è decisamente critica, e non c'è nessun bisogno che io mi metta a sprecare colpi sulla tastiera cercando di delinearla. E tendenzialmente io sono molto più critico con quella fascia di popolazione che più o meno appartiene al mio lato della barricata (ossia con gli imprenditori, piuttosto che con chi è dipendente / collaboratore, insomma con il lavoro), perché mi piacerebbe che in questo Paese ci fosse una classe imprenditoriale diversa, più fresca, e anche più civile.
Ma detto questo c'è da dire che in questo momento storico ci vorrebbe anche una generazione più fresca, diversa e più civile, soprattutto per quanto riguarda il proprio rapporto con il lavoro.
È ovvio che c'è qualcosa nel sistema che non funziona se una persona su tre non trova lavoro in quella fascia d'età. C'è evidentemente qualcosa da correggere e sono il primo a dirlo, e con questo chiarisco la mia posizione.
Ma allo stesso tempo c'è anche qualcosa che non funziona nel rapporto con il lavoro con tutte e tre quelle persone prese in esame.
Perché dal mio punto di osservazione, che è quello di una piccola impresa il tipo di rapporto con il lavoro è veramente troppo facilone.
E quando vado a fare qualche master, anche lì, vedo una superficialità mica da nulla.
I master ormai servono esclusivamente per comprarsi un posto in azienda. Tanto vale portare alle aziende un finanziatore (i propri genitori) e dirgli: senti, questi son 5.000 euro: me lo paghi lo stipendio per x mesi? Così vedi come lavoro e magari ti viene il ghiribizzo di prendermi in organico.
Ma poi come lo spendo quel periodo di lavoro in azienda?
Perché il nodo è tutto qui.
Cercare di entrare dentro i flussi aziendali (anche quelli di una piccola impresa, anzi, forse soprattutto, poiché è molto più semplice), darsi una spinta di reni tutti i santi giorni e dimostrarsi indispensabili, portare le persone che ti stanno sottopagando, o addirittura non pagando, a pensare:"tra sei mesi questo se ne va e io come faccio?".
Perché altrimenti, con il mercato del lavoro che c'è oggi, l'azienda - che ricordiamolo sempre non è un ente assistenziale né un ente di beneficenza - è portata a dire "avanti il prossimo", e questo perché il sistema attuale (quello che crea il 30% di disoccupazione giovanile) lascia ampia delega a chi dovrebbe dar lavoro, permettendogli di stabilire le regole di un mercato in cui l'unico potere contrattuale è in mano a lui. Facile!
Non è che sia molto più complesso: se c'è abbondanza di offerta di gente entro i 25 anni e ho bisogno di gente di valore basso, non particolarmente skillata, o comunque riformare la risorsa una volta ogni sei mesi non è un problema, la andrò a prendere da lì. Ma ci vuole tanto, santocielo, una volta che si è avuta quella possibilità, a far capire il proprio valore? Ad acquisire potere contrattuale? A fare bene? Certo non è una cosa che si ottiene senza fatica, ma è l'unica possibilità che hai, altrimenti facevi meglio a risparmiare quei soldi.
Io questo mi chiedo, perché questo è un dato di realtà incontrovertibile che distorce inevitabilmente nella figura dell'imprenditore che non concepisce il contratto a T.I. e addirittura confronta la propria posizione con quella del collaboratore ("E che ho le ferie pagate io? Che ho la certezza dello stipendio? Io sono il primo precario della mia azienda!" parole sentite dire da un giovane imprenditore).
Quelli che si esprimono così sono imbecilli, ma il punto è che hanno ampia libertà di esserlo.
E si, bisogna far qualcosa, ci piacerebbe tanto che venissero fuori i migliori, da una parte e dall'altra, e stabilissero le regole, e chi non le rispetta - da una parte o dall'altra - a casa, a far qualcos'altro, che evidentemente più di tanto quello che fai non ti interessa, se non sei disposto a combattere.
Perché in fin dei conti, data la situazione attuale, è un dato di fatto che devi essere disposto a combattere duramente per rompere un meccanismo che permette con grande comodità alla tua azienda di passare da te al nuovo venuto in meno di un battito di ciglia.

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