venerdì 13 aprile 2012

Una nuova esperienza di esplorazione delle news.


Ogni mattina ci svegliamo e cerchiamo di mettere ordine all'enorme flusso di informazioni che ci proviene da qualunque sorgente (digitale, analogica) che abbiamo intorno.
Ogni mattina molti di noi aprono Facebook, Twitter, email, il sito del quotidiano preferito e cercano di comprendere il "big picture", cosa sta succedendo nel mondo.
Fino a una decina di anni fa (una quindicina per quelli che come me che hanno avuto un approccio al web verso la metà degli anni 90) questa stessa azione si compiva scorrendo un quotidiano, magari acquistato o magari al bar, tra un morso al cornetto e un sorso al cappuccino.
Nel frattempo l'informazione ci ha decisamente travolti, eppure rimane estremamente difficile avere un quadro generale di quello che sta davvero succedendo.
"La gente al bar non parla di…", siate liberi di inserire quello che volete nei puntini di sospensione. Eppure il mio quotidiano apre proprio con quella notizia lì, quella di cui al bar - dice - non parla nessuno.
Perché poi a complicare le cose non basta la quantità di informazioni, ma c'è quella cosa che si chiama "agenda". Ogni quotidiano ha la sua agenda, e alcuni quotidiani stabiliscono l'agenda del Paese. Di cosa si deve parlare, di cosa è importante parlare.
Diciamo meglio: ogni fonte di informazione ha la sua agenda, e propone (impone?) la sua agenda. Questo in fin dei conti vale anche per noi: su Twitter, quando proponiamo una notizia, seguiamo la nostra personalissima agenda.
Per cui ecco qui due problemi: sovraccarico di informazioni e agenda. Due cose che non ci permettono di capire effettivamente di cosa si sta parlando, quali sono i temi veramente importanti.
Oggi con i social media, e in particolare con Twitter, nascono delle vere e proprie occasioni di scollamento fra i prodotti editoriali e "la gente", veri e propri buchi che vengono rattoppati con l'odiosa dicitura "e il popolo di Twitter in rivolta contro [inserisci argomento a piacere magari bucato dal giornale].
Inoltre i social media spesso dicono quello che (molti) prodotti editoriali non possono dire, perché sono fatti dalle persone, non sono, appunto, prodotti. E tante persone che parlano di qualcosa fanno un trending topic. 
Ecco qui che per capire il big picture alle volte ci affidiamo a questo parametro, che rischia di essere un po' superficiale.

Con la mia azienda, insieme ad altri due partner e ad un partner tecnologico, stiamo cercando di cambiare il paradigma, e lo stiamo facendo tramite una startup.
Squer.it, come ha già accennato Luca, proporrà un modo nuovo di vivere l'informazione, che ponga rimedio proprio a questi scollamenti e a questo difetto sistemico attuale.
Cercando di non impoverire ma proponendo un sistema per approfondire i temi di interesse degli utenti, allo stesso tempo senza perdere il quadro generale. 
Un'idea che ha una vocazione internazionale e che vuole proporre un modo davvero nuovo per esplorare l'informazione.

Tutto il team è estremamente eccitato in queste ore in cui stiamo per dirvi qualcosa di più, e non vediamo l'ora di mostrare a tutti voi di cosa stiamo parlando.
Speriamo che il panorama delle news italiano e internazionale possa essere arricchito dal nostro contributo, e speriamo che tutti voi possiate accoglierci con la massima benevolenza. Vogliamo partecipare alla discussione ma soprattutto vogliamo facilitare la discussione e la conversazione sui temi più importanti, giorno per giorno.
Quando solleveremo il sipario inizieranno i giorni duri, pieni di soddisfazioni e critiche, e bisognerà cercare di prendere le une come le altre, entrambe non troppo seriamente né troppo sotto gamba.
Tutte le nostre energie sono veicolate a cercare di offrire a tutti voi qualcosa di bello e funzionale, che possa permettervi di informarvi nel modo più produttivo e anche divertente (si, potrà essere divertente e gratificante). Ed estremamente diverso, nelle idee, nelle intenzioni, nelle fonti e nella gestione del concetto di informazione, da tutto ciò che c'è in rete in questo momento.
Nell'attesa di dirvi di più non posso non invitarvi a seguirci su Twitter e a lasciare la vostra email sul nostro sito. Vi scriveremo una volta sola: per chiedervi di unirvi a noi.
Nel frattempo, se volete, fate girare la voce.

martedì 3 aprile 2012

Uno su Tre. Disoccupazione giovanile al 31.9%

Devo dire una cosa antipatica, perché mi frulla in testa da parecchi giorni.
Una cosa che alle volte mi affatica anche solo pensare, perché la mia formazione è sempre stata differente.
Dopodiché esiste la vita reale, che prescinde un po' dalla formazione che uno ha, e si è costretti a farsi i conti.
La situazione che stiamo vivendo in questo momento è decisamente critica, e non c'è nessun bisogno che io mi metta a sprecare colpi sulla tastiera cercando di delinearla. E tendenzialmente io sono molto più critico con quella fascia di popolazione che più o meno appartiene al mio lato della barricata (ossia con gli imprenditori, piuttosto che con chi è dipendente / collaboratore, insomma con il lavoro), perché mi piacerebbe che in questo Paese ci fosse una classe imprenditoriale diversa, più fresca, e anche più civile.
Ma detto questo c'è da dire che in questo momento storico ci vorrebbe anche una generazione più fresca, diversa e più civile, soprattutto per quanto riguarda il proprio rapporto con il lavoro.
È ovvio che c'è qualcosa nel sistema che non funziona se una persona su tre non trova lavoro in quella fascia d'età. C'è evidentemente qualcosa da correggere e sono il primo a dirlo, e con questo chiarisco la mia posizione.
Ma allo stesso tempo c'è anche qualcosa che non funziona nel rapporto con il lavoro con tutte e tre quelle persone prese in esame.
Perché dal mio punto di osservazione, che è quello di una piccola impresa il tipo di rapporto con il lavoro è veramente troppo facilone.
E quando vado a fare qualche master, anche lì, vedo una superficialità mica da nulla.
I master ormai servono esclusivamente per comprarsi un posto in azienda. Tanto vale portare alle aziende un finanziatore (i propri genitori) e dirgli: senti, questi son 5.000 euro: me lo paghi lo stipendio per x mesi? Così vedi come lavoro e magari ti viene il ghiribizzo di prendermi in organico.
Ma poi come lo spendo quel periodo di lavoro in azienda?
Perché il nodo è tutto qui.
Cercare di entrare dentro i flussi aziendali (anche quelli di una piccola impresa, anzi, forse soprattutto, poiché è molto più semplice), darsi una spinta di reni tutti i santi giorni e dimostrarsi indispensabili, portare le persone che ti stanno sottopagando, o addirittura non pagando, a pensare:"tra sei mesi questo se ne va e io come faccio?".
Perché altrimenti, con il mercato del lavoro che c'è oggi, l'azienda - che ricordiamolo sempre non è un ente assistenziale né un ente di beneficenza - è portata a dire "avanti il prossimo", e questo perché il sistema attuale (quello che crea il 30% di disoccupazione giovanile) lascia ampia delega a chi dovrebbe dar lavoro, permettendogli di stabilire le regole di un mercato in cui l'unico potere contrattuale è in mano a lui. Facile!
Non è che sia molto più complesso: se c'è abbondanza di offerta di gente entro i 25 anni e ho bisogno di gente di valore basso, non particolarmente skillata, o comunque riformare la risorsa una volta ogni sei mesi non è un problema, la andrò a prendere da lì. Ma ci vuole tanto, santocielo, una volta che si è avuta quella possibilità, a far capire il proprio valore? Ad acquisire potere contrattuale? A fare bene? Certo non è una cosa che si ottiene senza fatica, ma è l'unica possibilità che hai, altrimenti facevi meglio a risparmiare quei soldi.
Io questo mi chiedo, perché questo è un dato di realtà incontrovertibile che distorce inevitabilmente nella figura dell'imprenditore che non concepisce il contratto a T.I. e addirittura confronta la propria posizione con quella del collaboratore ("E che ho le ferie pagate io? Che ho la certezza dello stipendio? Io sono il primo precario della mia azienda!" parole sentite dire da un giovane imprenditore).
Quelli che si esprimono così sono imbecilli, ma il punto è che hanno ampia libertà di esserlo.
E si, bisogna far qualcosa, ci piacerebbe tanto che venissero fuori i migliori, da una parte e dall'altra, e stabilissero le regole, e chi non le rispetta - da una parte o dall'altra - a casa, a far qualcos'altro, che evidentemente più di tanto quello che fai non ti interessa, se non sei disposto a combattere.
Perché in fin dei conti, data la situazione attuale, è un dato di fatto che devi essere disposto a combattere duramente per rompere un meccanismo che permette con grande comodità alla tua azienda di passare da te al nuovo venuto in meno di un battito di ciglia.

venerdì 14 ottobre 2011

- Dai retta a un cretino... - No, oggi no.

Vorrei dire due parole su una nuova iniziativa che è apparsa pochi giorni fa sul web, ossia The Breakfast Review, sito interessante che recensisce posti dove fare colazione. L'ho conosciuto perché seguo da tempo il blog di Simone che l'ha segnalato, visto che si tratta di una sua creazione (insieme a Ilaria Mazzarotta e Laura Comoglio).
Un paio di cose prima di iniziare: seguo da anni il blog di Simone perché mi interessa, mi diverte, perché mi trovo spesso d'accordo con quel che dice e perché è una persona che mi pare avere a cuore una serie di cose che stanno a cuore anche a me, da una certa incazzatura, dalla voglia di essere invasi da Sua Maestà, e non ultima una smisurata passione per i Beatles. Non sono un suo amico, l'ho visto una volta sola in una Feltrinelli milanese e mi ha fatto un gran piacere ma, insomma, non abbiamo un rapporto stretto, non scrivo questo post perché lo conosco, questo voglio dire.
Seconda cosa: questo blog farà 3 visitatori ogni centoventi anni per cui non è certo un post pubblicato per far girare la voce, perché sarebbe un'arma assai spuntata.
Il motivo per cui scrivo questo post, in realtà, non è nemmeno quello di fare una "recensione del sito che recensisce", visto, soprattutto, che questo non sarebbe nemmeno nella "linea" (ammesso che ci sia) di questo blog, linea che mi obbliga a selezionare molto e a scrivere poco.
In conclusione il motivo per cui mi metto a scrivere questo articolo è perché ho letto alcuni commenti al sito in questione e ancora una volta mi è saltata la mosca al naso per la capacità pazzesca (credo, in una spinta esterofila, di poterla definire tutta nostra, ma forse non è vero) di riuscire a criticare partendo dal presupposto: "la persona che sto criticando è, evidentemente, un cretino".
E qui entriamo finalmente nel merito, si parla di TBR ma possiamo far finta che si parli di qualunque altra cosa.

Alcune cose del linguaggio di TBR pare abbiano destato voglia di aprir bocca. La pagina contatti più di tutto il resto. Frasette acide, toni del cacchio. Eppure, direi, non è forse vero che la pagina contatti meriterebbe più testi del genere e meno "ti prego scrivimi, sono qui quando vuoi, non farò altro che aspettare le tue lettere (piene di suggerimenti inutili di roba che ho già pensato, ragionato e scartato)"? E mica perché la gente scriva per forza roba inutile, ma soprattutto perché il più delle volte scrive cose che non sono realizzabili, sono già state pensate e non rientrano nel budget, insomma non sa di cosa si sta parlando e, mentre non lo sa e scrive, ingolfa caselle di posta che possono contenere anche qualcosa di interessante. Spulciare quelle mail è un lavoro.
A mio modo di vedere scoraggiare un po' la comunicazione di istinto è una cosa giusta, anche per un'impresa che si rivolge al pubblico in modo decisamente aperto come un sito del genere.
La rete (in particolare, ma anche gli autobus e i bar) è piena di suggerimenti gratuiti irrealizzabili e inutili. E non parlo solo del cosiddetto "bimbominkia" che vuole il procio più potente. Parlo del medico 35enne magari bravissimo nel suo mestiere (e che si imbestialirebbe se gli suggerissi come fare una certa cosa che lui conosce benissimo) che non si risparmia dal pubblicare un commento pieno di livore sull'uscita dell'ultimo prodotto tecnologico che poteva contenere chissà quali features, pretendendo che un'intero reparto marketing, ricercatori, manager, VP, gente che fa quel mestiere, non abbiano avuto la sua stessa idea. Questo poi è ancora più evidente con marchi che hanno strategie di marketing ben definite, come Apple, aziende che sembrano sapere perfettamente dove stanno andando. La maggior parte delle volte c'è un motivo se una certa feature non è stata inserita, e spesso è perché quelle persone lì, sai com'è, sanno fare il loro mestiere.
Allo stesso identico modo mi piacerebbe dire ai commentatori sarcastici dello stand-up e sit-down di The Breakfast Review che probabilmente, anzi sicuramente, c'è un motivo se una persona che fa il mestiere che fa (o meglio quello che più o meno ho capito faccia), come Simone,  sceglie insieme ai propri compagni di ventura un linguaggio piuttosto che un altro. Non è detto che gli piaccia, non è detto che sia il suo (magari si, ma non è quello il punto), ma - direi - sicuramente vuole che questo sia familiare al target che si è prefissato di raggiungere, oppure trova che sia il modo giusto di dire una certa cosa, perché veloce, semplice, diretto. Certa gente ha bisogno di quello e chi si occupa di certe cose, semplicemente, lo sa. Poi magari si sbaglia (non è che non si facciano errori, anche sulle cose di base), ma anche in questo caso c'è tono e tono.
Mi piacerebbe, e questo vale per tutti, anche per me, che si facesse spazio una visione un po' più "laica" delle cose, senza partire lancia in resta, ma semplicemente porsi una domanda: "perché quest'azienda/persona ha fatto questa scelta? Sono sicuro di saperne più di lei/lui/loro?", perché nella formazione di una nuova iniziativa imprenditoriale (così ritorniamo un po' nel tema) le critiche sono importanti, se non fondamentali. Ma si faccia il piacere di partire dal presupposto che ci sia un minimo di preparazione al prodotto che si immette sul mercato, perché altrimenti vuol dire che si pensa che chi c'è dietro quel prodotto sia un dilettante (che ci stia simpatico o meno, magari un simpatico dilettante) e non è detto che sia così. Magari però si dibatte da professionisti, fra professionisti. In quel caso c'è anche un discorso di stima professionale, però. Se so che quello è il suo mestiere e ha scelto quel genere di linguaggio, posso, per favore, partire dal presupposto che magari s'è fatto una ricerchina, prima, ha capito che cosa doveva fare, prima, s'è un minimo documentato, prima? E che magari io, professionista come lui, non avendo lavorato a quel progetto, non sia allo stesso modo preparato?
Una migliore qualità delle critiche vuol dire anche un prodotto migliore, una critica più circostanziata vuol dire crescita per quella azienda, per quella iniziativa. Vuol dire che potrebbe non esserci più alcun bisogno di una pagina contatti scritta in quel modo.
Non so, leggendo quei commenti sarcastici mi è presa la solita incazzatura: ma è possibile che debba essere sempre così?
Linguaggio, logo, tono di voce, sono le basi per chi si occupa di un certo mestiere. Ma è possibile che ci sia sempre qualcuno che ne sa più degli altri? Poi uno se ne sbatte e si fa una risata, ma - seriamente - un atteggiamento di questo tipo fa cadere le braccia, e fa passare la voglia di fare le cose.
Pensiamoci un po', la prossima volta, a migliorare la qualità delle critiche. Poi quando sarà il nostro turno nell'affacciarci sul mercato potremmo trovare un mercato migliore. Per il momento in bocca al lupo a Simone e compagne per il nuovo prodotto.

(poi ci sta che tutto questo abbia fatto girare un po' il nome del sito, e in tal caso ben venga).

giovedì 6 ottobre 2011

...and the pursuit of happiness

È da stamattina che provo a buttar giù pensieri.
In realtà riesco solo a leggere pensieri di altri, persone che l'hanno conosciuto, che hanno avuto modo di avere a che fare con lui, davvero.
Poi mi sento anche un po' imbecille, perché questa cosa mi ha colpito e mi ha colpito profondamente, eppure quella persona non l'ho mai incontrata.
Quanto sono ingiuste queste situazioni lo sappiamo perfettamente.
Io non sono una persona dai facili entusiasmi, sul serio. Con Apple la storia è stata lunga e tormentata. L'ho odiata, per un periodo della mia vita, ma da più di dieci anni uso con un computer (e mille altri aggeggi) con una mela stampata sopra e quello che ho sempre detto in giro quando mi hanno chiesto perché non è mai stato lo slogan di una campagna di marketing o un senso di appartenenza. Sostanzialmente è perché faccio le cose prima e le faccio meglio.
Però è indubbio dire che quando si assiste ad una evoluzione per un po' di tempo, e questa evoluzione la maneggi giorno dopo giorno sui prodotti che acquisti (e si, diventa anche un po' una mania), c'è un qualcosa come un senso di appartenenza.
Anni fa un blogger scriveva che "prima" quando due persone con un mac si incrociavano in una biblioteca spesso si finiva a parlare, si era in pochi, così pochi che la comunità era davvero ristretta, e avevi voglia di conoscerla tutta. Poi con l'iPod è cambiato tutto, si era in tanti, e quel senso di appartenenza si era un po' diluito, ed era meno divertente.
Per quanto mi riguarda Apple e in generale la figura di Steve Jobs, che negli anni ho studiato, per quanto possibile, leggendo parecchi libri e guardando e riguardando i keynote, sono stati parte della mia vita e parte della mia crescita, anche professionale.
Non so se è possibile avere un mentore che non hai mai incontrato, e comunque i risultati della mia vita non sono sufficienti per poter dire che Jobs sia stato un mentore.
Fossi miliardario e avessi realizzato qualcosa di più forse lo direi.
Ma il punto vero è che prima con le sue macchine e poi con il modo di concepire il fare impresa Jobs effettivamente ha tracciato una strada, e l'ha tracciata anche dentro me.
È per questo che oggi, sorprendendomi anche un poco, di nascosto e senza dirlo in giro, mi sono anche scappate delle lacrime. Perché penso a quanto avrebbe potuto ancora insegnarmi e insegnarci e innovare. Ha quanto ha dato e potrebbe dare.
E oggi più che mai ritengo stonate, davvero tinte di un colore meschino le battutine tipo "chi ci farà comprare prodotti inutili e costosi, ora?", spesso dette e ripetute anche da gente che stimo.
Perché, al di là del marketing, del campo di distorsione della realtà, dell'iPhone e tutto il resto chi financo oggi non percepisce la grandiosità dell'uomo beh forse dovrebbe interrogarsi un po' sulla propria protervia.
Il mondo della tecnologia è parte del nostro mondo, oggi, e se lo è è anche e soprattutto grazie a lui. L'aver avuto una visione del mondo di un certo tipo, l'aver capito dove sarebbe andato il mondo e l'averci permesso di arrivarci prima.
L'iPod è meno sexy di un lp, su questo non c'è dubbio, ma è probabilmente comunque più sexy di qualunque altra cosa oggi poteva essere al suo posto. E nel mondo di oggi c'è posto per l'iPod e per un LP. Per un dispositivo magico come l'iPad e per un libro.
Ha amato ripetere anche recentemente che Apple per come lui l'ha vista ha saputo mettersi all'incrocio fra le arti liberali e la tecnologia, e questa capacità e questa grandezza non è stata replicata da nessuna delle aziende concorrenti, sia che queste venissero dall'uno o dall'altro campo. La lezione di Apple e di Jobs, forse per sua fortuna, è rimasta inascoltata dalla maggior parte se non da tutte le aziende del settore, e ancora oggi ci chiediamo come sia possibile che ci siano settori di un mercato - vedi gli editori - che nonostante l'esperienza ancora non abbiano capito dove andrà il mondo e invece di anticiparlo, e di iniziare a guadagnare prima, siano lì a cercare di fermare il mare con una paletta di plastica.
Per tutto questo e per una quantità enorme di altre cose quell'uomo lì e quello che ha prodotto e ha fatto oggi è ricordato da una tale quantità di persone come fosse un presidente americano autore di una rivoluzione.
E probabilmente molti di loro, senza saper nulla se non uno "stay hungry and stay foolish" non sanno della sua grandezza. Non sanno che quell'uomo più piccolo di me è stato cacciato dall'azienda che ha fondato, e che - milionario - si è rimesso in gioco dall'inizio.
Non sanno di Pixar, non sanno degli screzi, non sanno della vita che ha vissuto.
Ma va bene così.
Si, era una rockstar, ed era una signora rockstar. Si era un inventore, un genio, un visionario, si ha fatto anche arte nel suo modo di guidare un'azienda, come solo lui ha saputo fare, con dei prodotti unici al mondo, mai imitati, progettati (e non solo nell'estetica, ma in tutto il possibile) intorno all'utente. E si, sapeva vendere, ma dov'è il problema in questo? Mica truffava la gente, vendeva cose. Creava falsi bisogni? Ma perfavore.
Io credo, e lo credo sinceramente, che chiunque oggi voglia fare o faccia impresa, si scontri con l'immagine di questo genio imponente sopra di lui.
Io credo che chiunque sia fuori dagli USA fatichi molto a misurarsi con questo genio qua.
Io credo che ci sia una enorme lezione da imparare di fronte a quest'uomo, e non è che sia necessario ma passata l'onda dell'emozione e del dispiacere, solo la storia ci dirà quanto grande fosse quest'uomo.
Io vorrei solo, e anche solo per oggi, che chi non ha mai capito, percepito, saputo comprendere la sua grandezza per oggi tacesse. Non dico loro di cambiare idea, chiedo loro solo di tacere, se volete per rispetto o per qualunque altra fottutissima motivazione vostra. State un po' zitti. Avrete tempo per fare battute e per dire stronzate, avrete anche tempo per capire di non essere nel giusto con il vostro veteromarxismo finto e peloso.
Altri di noi oggi stanno male, perché hanno perso una guida, un mentore, un signore che vendeva e realizzava splendidi giocattoli (si, anche quello, ebbene?), che ha saputo fare impresa e realizzare in quindici anni quello che nessuno nessuno nessuno al mondo avrebbe potuto, e che ha tracciato per loro una strada, che magari vorrebbero e non possono seguire.
Se non per Mr Jobs di cui vi sentite tanto nemici tacete per i vostri amici.
Comunque sia, ci mancherà, e a me mancherà parecchio, posso solo immaginare chi ha lavorato con lui.

P.S. la storia di Jobs è fondamentalmente americana, propriamente americana, unicamente americana. Lo so, lo sappiamo tutti. Ma è la miglior rappresentazione del titolo di questo blog.

martedì 24 maggio 2011

(Off Topic) Mi stupisco che lei si stupisca (#Sucate)

È buffo leggere, oggi, ancora qualcuno che si stupisca di trucchetti che fanno parte della rete forse da quando è nata.
Dopo un po' di tempo che giravo su IRC (1995-1996) alcuni simpaticoni hanno iniziato a divertirsi con poco mettendo questo topic nel canale: "Per avere l'OP usate la combinazione di tasti Alt-F4". L'OP era la possibilità di gestire il canale, ossia poter kickare qualcuno fuori dal canale o addirittura bannarlo, come anche gestire il topic, gli inviti e via discorrendo. Era molto ambita tra i frequentatori dei canali IRC. 
Ora: la combinazione Alt-F4, su Windows (dove quasi nessuno è avvezzo alle scorciatoie da tastiera come su Mac) non serve ad altro se non a chiudere un programma, come Cmd-Q su Mac. Per cui ogni tanto qualcuno ci cascava e non era altro se non un modo per dire: "non rompete le palle che volete l'OP", tanto non ve lo diamo.
Ci sono cascato? Certo, una volta. E ho fatto fare una risata agli OP, che i "niubbi" erano sempre quelli più buffi.
Quando sono passato a Mac, e avevo già mollato IRC per noia, su it.comp.macintosh, newsgroup molto frequentato su Usenet, ogni tanto qualche imbecille beccava il thread giusto in cui si parlava di Unix (c'era da poco Mac Os X, basato appunto su Unix), o comunque di comandi da terminale per risolvere un certo problema. L'imbecille trovato il gonzo (o niubbo) sufficientemente inesperto replicava alla sua richiesta di aiuto dicendo: "risolvi tutto dando come input questo comando su terminale: rm -rf / e inserendo la tua password di root". Ovviamente frotte di frequentatori meno imbecilli correvano a dirgli "no, fermo, non farlo!" visto che quel comando avrebbe azzerato completamente il contenuto dell HD del malcapitato niubbo.
Questi sono solo due esempi, uno innocuo l'altro meno, di scherzi fatti appunto a gente inesperta, niubbi in gergo, sul web, da almeno 15 anni, e probabilmente anche da prima.
Possibile che nel 2011 ci si debba stupire e dedicare addirittura un post di ferma critica pieno di parole e concetti per un fenomeno che non è altro che puro cazzeggio finalizzato, al solito, a incasinare un po' qualcuno che evidentemente non conosce ancora sufficientemente il mezzo che frequenta?
Ai tempi si "killava" una parola chiave, e via #Sucate non sarebbe esistito più per l'utente, risparmiando parole e bit di ferma condanna.
Non sposta un voto, e vorrei ben vedere, ma che c'entra?

lunedì 23 maggio 2011

Sky e Current Tv: mercato, non censura.

Come molti sanno da giovedì è in corso una sorta di battaglia mediatica sul futuro di un pezzettino dell'industria radiotelevisiva italiana. I due schieramenti sono Current Tv e Sky Italia.
Da giovedì mi sono espresso, e anche parecchio, su come vedevo la questione, mentre le cose si svolgevano a colpi di comunicati stampa e azioni di PR digitali e non, ma d'altra parte ho preferito aspettare a scriverne qua. Nel frattempo l'hanno fatto in parecchi, due persone che stimo prima di tutti gli altri: Simone e Max.
Sono intervenuto in diversi thread su Friendfeed e, quasi da solo al principio e poi insieme ad una schiera che andava popolandosi, mentre nelle prime battute Current Tv colpiva Sky con accuse di censura facevo presente ai partecipanti alle varie discussioni che in nessun caso, nemmeno nello strano sistema radiotelevisivo nostrano, una vicenda come quella di Current si poteva ascrivere ad un'operazione di censura.
Nella giornata di venerdì sono intervenuto insieme a Livia Iacolare di Current Tv, a Nicola Mattina e a Stefano Epifani su 140nn (è possibile riascoltare la puntata qua) (poi un giorno devo scrivere qualcosa anche sull'ottimo lavoro di @Ezekiel @Strelnik e di questo progetto), e anche lì ho ripetuto quanto ho iniziato a dire fin dal primo giorno.
Solo che poi sabato sono uscite diverse altre cosette, e adesso forse vale la pena spendere qualche minuto per fissare i concetti, per come la vedo io.
Partiamo da un paio di principi: anche nel nostro sistema tv sbilanciato Sky è libera di fare quel che vuole sui canali che ospita sul proprio pacchetto, tanto più che li paga per produrre contenuti (e gli garantisce pianificazione pubblicitaria). Ci si deve stare e nessuna operazione di cancellazione, rimozione, riduzione del budget o altro può essere chiamata censura se non in modo pretestuoso e finalizzato esclusivamente a prendere in giro i propri telespettatori.
L'altro è più semplice e scontato: qualunque canale che chiude è un dispiacere: sia per l'attività imprenditoriale interrotta, che per le professionalità che si trovano senza un lavoro, infine per il contributo che questo canale (e nello specifico un canale come Current) può dare al panorama tv non particolarmente variegato.
Detto ciò ritengo che il mercato sia l'unico giudice in queste cose, e il mercato non è solamente la quantità di persone che seguono un certo canale. Quando Al Gore ad Annozero diceva che un abbonato su due di Sky (se ho ben capito) guadava Current almeno una volta a settimana io onestamente non ci ho creduto, e non ci credo nemmeno adesso. Un po' perché sappiamo tutti cosa porta la gente su Sky, e non vedo, da quando esiste Current, un significativo aumento della sensibilità della gente su certi temi (come invece sarebbe lecito aspettarsi con un seguito così importante) né campagne pubblicitarie Sky finalizzate ad attirare nuovi abbonati ricordato che troveranno Current Tv sul proprio pacchetto.
Mercato libero, però, significa anche che esistono degli accordi fra aziende e questi accordi, quando sono a scadenza, vengono rinegoziati, rivisti, in base a criteri che sono effettivamente indiscutibili. Perché non riesco a pensare a nulla di più odioso in questo ambito di un'autorità che impone - senza che questo sia ripagato o giustificato da un contratto di servizio - ad un'impresa quali fornitori (di contenuti) deve avere. Nemmeno se questi fossero i migliori e i più importanti fornitori dell'universo mondo.
Se lo sono, il mercato li vorrà. Li vorrà l'editore perché gli porterà quattrini, o li vorrà per dare lustro alla sua piattaforma.
Questo ci riporta dunque al nostro primo principio per discutere: Sky era ed è nella piena legittimità di chiudere il rapporto con Current Tv. Che sia per un'audience troppo bassa, o per un'antipatia verso Al Gore, o ancora per una battaglia politica - come detto da Current - verso Current e Keith Olbermann.
Ci siamo?
Dopodiché: è fastidioso e  limitante che Sky sia l'unico player sul mercato digitale satellitare? Si, lo è, i regimi di monopolio non sono mai belli.
Però non siamo più nel 1995, il DTT, per quanto insulso e fastidioso per mille aspetti, ha aperto nuovi spazi nel mercato radiotv, oltre al satellitare. E il lavoro che stanno facendo La7 e Mentana dimostrano che c'è modo di spostare anche porzioni interessanti di audience dalle 6 big verso reti più piccole, come ha ricordato Nicola Mattina in uno dei suoi interventi su 140nn. Il punto è che il modello di business di Current Tv fino a ieri era: mi faccio pagare per andare in onda (da Sky e su Sky), ad oggi, se decidesse di aprire su digitale terrestre, dovrebbe invece andare in onda e cercare di farsi pagare gli spazi pubblicitari dagli inserzionisti, il che significa innanzitutto trovarli (ed è chiaro che non sia del tutto semplice se fai la politica di informazione indipendente di Current Tv) e poi cercare di andare a recupero dei costi che comunque non sono affatto pochi. Si inverte, insomma, tutto il discorso. Prima partivi con un budget sicuro, ora devi trovarlo, quel budget.
E qua ripeto quanto ho detto a Livia in trasmissione: non vedo chi potrebbe fare una scelta del genere se non il management di Current Tv e Al Gore stesso. Difficilmente si potrebbe trovare qualcun altro con le spalle sufficientemente larghe e disponibilità di risorse per trovare finanziatori.
Spero che Current Tv decida di fare questo passo e trovi le risorse per andare avanti in un modo davvero indipendente, con la libertà di dire quello che vuole e senza dipendere dalle decisioni di Sky, sia che queste vengano da Sky Italia o - come dice Current - che vengano dalla casa madre News Corp.

Sabato sono poi usciti fuori alcuni altri dati sulla querelle sia da parte di Sky che da parte di Current Tv. Salto subito al dunque: Cari amici di Current Tv, è vero che se Sky vi ha offerto 1 milione e rotti per mandare avanti il canale per un anno vi ha sostanzialmente tagliato le gambe (o vi ha detto: il resto trovatevelo da soli), perché con 1 milione di Euro non ci fai davvero praticamente nulla. È vero, ma cosa ci vogliamo fare? Questo vi autorizza a parlare di censura? Sappiamo entrambi che non si tratta di censura, e soprattutto piano piano lo sapranno anche i vostri telespettatori più affezionati. Insomma avete messo sul tavolo la vostra credibilità, che è quanto di più importante per una rete di news. È un tema che muove subito gli animi, qua in Italia, da Santoro, ma non credo sia stato il modo migliore per far arrivare la cosa al proprio audience. Leggo parecchi guru del Social Media, della conversazione online e roba simile ed è buffo non aver trovato forti critiche sulla linea che avete scelto.
È un tema importante, è un tema su cui non si scherza, questo della censura, in un sistema come il nostro. Se avete, come probabilmente avete, una forte coscienza del vostro ruolo nel mercato radiotv italiano impegnatevi ad aprirlo sempre di più, farete un favore a voi, al vostro audience, e a tutta l'industria radio televisiva, perché trasmettere non è un diritto inalienabile, né per voi né per altri, in condizioni di libero mercato.
Più mercato farà bene a voi, e a farà bene al resto del settore.

giovedì 21 aprile 2011

Un imprenditore ha bisogno di un MBA?

Stavo facendo una ricerca online su alcune cose e ho trovato quest'articolo di Steve Blank su Venturebeat che mi pare molto interessante, perché risponde ad una domanda che mi sono fatto molte volte, e che tanti amici e colleghi si sono fatti allo stesso modo.
Mi sono anche imbattuto in un'intervista a Guy Kawasaki su Forbes sullo stesso tema, in cui risponde - in modo forse più semplicistico - che no, un imprenditore non ne ha bisogno. Consiglio il primo articolo, però, lo trovo più strutturato e forse più interessante.