venerdì 14 ottobre 2011

- Dai retta a un cretino... - No, oggi no.

Vorrei dire due parole su una nuova iniziativa che è apparsa pochi giorni fa sul web, ossia The Breakfast Review, sito interessante che recensisce posti dove fare colazione. L'ho conosciuto perché seguo da tempo il blog di Simone che l'ha segnalato, visto che si tratta di una sua creazione (insieme a Ilaria Mazzarotta e Laura Comoglio).
Un paio di cose prima di iniziare: seguo da anni il blog di Simone perché mi interessa, mi diverte, perché mi trovo spesso d'accordo con quel che dice e perché è una persona che mi pare avere a cuore una serie di cose che stanno a cuore anche a me, da una certa incazzatura, dalla voglia di essere invasi da Sua Maestà, e non ultima una smisurata passione per i Beatles. Non sono un suo amico, l'ho visto una volta sola in una Feltrinelli milanese e mi ha fatto un gran piacere ma, insomma, non abbiamo un rapporto stretto, non scrivo questo post perché lo conosco, questo voglio dire.
Seconda cosa: questo blog farà 3 visitatori ogni centoventi anni per cui non è certo un post pubblicato per far girare la voce, perché sarebbe un'arma assai spuntata.
Il motivo per cui scrivo questo post, in realtà, non è nemmeno quello di fare una "recensione del sito che recensisce", visto, soprattutto, che questo non sarebbe nemmeno nella "linea" (ammesso che ci sia) di questo blog, linea che mi obbliga a selezionare molto e a scrivere poco.
In conclusione il motivo per cui mi metto a scrivere questo articolo è perché ho letto alcuni commenti al sito in questione e ancora una volta mi è saltata la mosca al naso per la capacità pazzesca (credo, in una spinta esterofila, di poterla definire tutta nostra, ma forse non è vero) di riuscire a criticare partendo dal presupposto: "la persona che sto criticando è, evidentemente, un cretino".
E qui entriamo finalmente nel merito, si parla di TBR ma possiamo far finta che si parli di qualunque altra cosa.

Alcune cose del linguaggio di TBR pare abbiano destato voglia di aprir bocca. La pagina contatti più di tutto il resto. Frasette acide, toni del cacchio. Eppure, direi, non è forse vero che la pagina contatti meriterebbe più testi del genere e meno "ti prego scrivimi, sono qui quando vuoi, non farò altro che aspettare le tue lettere (piene di suggerimenti inutili di roba che ho già pensato, ragionato e scartato)"? E mica perché la gente scriva per forza roba inutile, ma soprattutto perché il più delle volte scrive cose che non sono realizzabili, sono già state pensate e non rientrano nel budget, insomma non sa di cosa si sta parlando e, mentre non lo sa e scrive, ingolfa caselle di posta che possono contenere anche qualcosa di interessante. Spulciare quelle mail è un lavoro.
A mio modo di vedere scoraggiare un po' la comunicazione di istinto è una cosa giusta, anche per un'impresa che si rivolge al pubblico in modo decisamente aperto come un sito del genere.
La rete (in particolare, ma anche gli autobus e i bar) è piena di suggerimenti gratuiti irrealizzabili e inutili. E non parlo solo del cosiddetto "bimbominkia" che vuole il procio più potente. Parlo del medico 35enne magari bravissimo nel suo mestiere (e che si imbestialirebbe se gli suggerissi come fare una certa cosa che lui conosce benissimo) che non si risparmia dal pubblicare un commento pieno di livore sull'uscita dell'ultimo prodotto tecnologico che poteva contenere chissà quali features, pretendendo che un'intero reparto marketing, ricercatori, manager, VP, gente che fa quel mestiere, non abbiano avuto la sua stessa idea. Questo poi è ancora più evidente con marchi che hanno strategie di marketing ben definite, come Apple, aziende che sembrano sapere perfettamente dove stanno andando. La maggior parte delle volte c'è un motivo se una certa feature non è stata inserita, e spesso è perché quelle persone lì, sai com'è, sanno fare il loro mestiere.
Allo stesso identico modo mi piacerebbe dire ai commentatori sarcastici dello stand-up e sit-down di The Breakfast Review che probabilmente, anzi sicuramente, c'è un motivo se una persona che fa il mestiere che fa (o meglio quello che più o meno ho capito faccia), come Simone,  sceglie insieme ai propri compagni di ventura un linguaggio piuttosto che un altro. Non è detto che gli piaccia, non è detto che sia il suo (magari si, ma non è quello il punto), ma - direi - sicuramente vuole che questo sia familiare al target che si è prefissato di raggiungere, oppure trova che sia il modo giusto di dire una certa cosa, perché veloce, semplice, diretto. Certa gente ha bisogno di quello e chi si occupa di certe cose, semplicemente, lo sa. Poi magari si sbaglia (non è che non si facciano errori, anche sulle cose di base), ma anche in questo caso c'è tono e tono.
Mi piacerebbe, e questo vale per tutti, anche per me, che si facesse spazio una visione un po' più "laica" delle cose, senza partire lancia in resta, ma semplicemente porsi una domanda: "perché quest'azienda/persona ha fatto questa scelta? Sono sicuro di saperne più di lei/lui/loro?", perché nella formazione di una nuova iniziativa imprenditoriale (così ritorniamo un po' nel tema) le critiche sono importanti, se non fondamentali. Ma si faccia il piacere di partire dal presupposto che ci sia un minimo di preparazione al prodotto che si immette sul mercato, perché altrimenti vuol dire che si pensa che chi c'è dietro quel prodotto sia un dilettante (che ci stia simpatico o meno, magari un simpatico dilettante) e non è detto che sia così. Magari però si dibatte da professionisti, fra professionisti. In quel caso c'è anche un discorso di stima professionale, però. Se so che quello è il suo mestiere e ha scelto quel genere di linguaggio, posso, per favore, partire dal presupposto che magari s'è fatto una ricerchina, prima, ha capito che cosa doveva fare, prima, s'è un minimo documentato, prima? E che magari io, professionista come lui, non avendo lavorato a quel progetto, non sia allo stesso modo preparato?
Una migliore qualità delle critiche vuol dire anche un prodotto migliore, una critica più circostanziata vuol dire crescita per quella azienda, per quella iniziativa. Vuol dire che potrebbe non esserci più alcun bisogno di una pagina contatti scritta in quel modo.
Non so, leggendo quei commenti sarcastici mi è presa la solita incazzatura: ma è possibile che debba essere sempre così?
Linguaggio, logo, tono di voce, sono le basi per chi si occupa di un certo mestiere. Ma è possibile che ci sia sempre qualcuno che ne sa più degli altri? Poi uno se ne sbatte e si fa una risata, ma - seriamente - un atteggiamento di questo tipo fa cadere le braccia, e fa passare la voglia di fare le cose.
Pensiamoci un po', la prossima volta, a migliorare la qualità delle critiche. Poi quando sarà il nostro turno nell'affacciarci sul mercato potremmo trovare un mercato migliore. Per il momento in bocca al lupo a Simone e compagne per il nuovo prodotto.

(poi ci sta che tutto questo abbia fatto girare un po' il nome del sito, e in tal caso ben venga).

giovedì 6 ottobre 2011

...and the pursuit of happiness

È da stamattina che provo a buttar giù pensieri.
In realtà riesco solo a leggere pensieri di altri, persone che l'hanno conosciuto, che hanno avuto modo di avere a che fare con lui, davvero.
Poi mi sento anche un po' imbecille, perché questa cosa mi ha colpito e mi ha colpito profondamente, eppure quella persona non l'ho mai incontrata.
Quanto sono ingiuste queste situazioni lo sappiamo perfettamente.
Io non sono una persona dai facili entusiasmi, sul serio. Con Apple la storia è stata lunga e tormentata. L'ho odiata, per un periodo della mia vita, ma da più di dieci anni uso con un computer (e mille altri aggeggi) con una mela stampata sopra e quello che ho sempre detto in giro quando mi hanno chiesto perché non è mai stato lo slogan di una campagna di marketing o un senso di appartenenza. Sostanzialmente è perché faccio le cose prima e le faccio meglio.
Però è indubbio dire che quando si assiste ad una evoluzione per un po' di tempo, e questa evoluzione la maneggi giorno dopo giorno sui prodotti che acquisti (e si, diventa anche un po' una mania), c'è un qualcosa come un senso di appartenenza.
Anni fa un blogger scriveva che "prima" quando due persone con un mac si incrociavano in una biblioteca spesso si finiva a parlare, si era in pochi, così pochi che la comunità era davvero ristretta, e avevi voglia di conoscerla tutta. Poi con l'iPod è cambiato tutto, si era in tanti, e quel senso di appartenenza si era un po' diluito, ed era meno divertente.
Per quanto mi riguarda Apple e in generale la figura di Steve Jobs, che negli anni ho studiato, per quanto possibile, leggendo parecchi libri e guardando e riguardando i keynote, sono stati parte della mia vita e parte della mia crescita, anche professionale.
Non so se è possibile avere un mentore che non hai mai incontrato, e comunque i risultati della mia vita non sono sufficienti per poter dire che Jobs sia stato un mentore.
Fossi miliardario e avessi realizzato qualcosa di più forse lo direi.
Ma il punto vero è che prima con le sue macchine e poi con il modo di concepire il fare impresa Jobs effettivamente ha tracciato una strada, e l'ha tracciata anche dentro me.
È per questo che oggi, sorprendendomi anche un poco, di nascosto e senza dirlo in giro, mi sono anche scappate delle lacrime. Perché penso a quanto avrebbe potuto ancora insegnarmi e insegnarci e innovare. Ha quanto ha dato e potrebbe dare.
E oggi più che mai ritengo stonate, davvero tinte di un colore meschino le battutine tipo "chi ci farà comprare prodotti inutili e costosi, ora?", spesso dette e ripetute anche da gente che stimo.
Perché, al di là del marketing, del campo di distorsione della realtà, dell'iPhone e tutto il resto chi financo oggi non percepisce la grandiosità dell'uomo beh forse dovrebbe interrogarsi un po' sulla propria protervia.
Il mondo della tecnologia è parte del nostro mondo, oggi, e se lo è è anche e soprattutto grazie a lui. L'aver avuto una visione del mondo di un certo tipo, l'aver capito dove sarebbe andato il mondo e l'averci permesso di arrivarci prima.
L'iPod è meno sexy di un lp, su questo non c'è dubbio, ma è probabilmente comunque più sexy di qualunque altra cosa oggi poteva essere al suo posto. E nel mondo di oggi c'è posto per l'iPod e per un LP. Per un dispositivo magico come l'iPad e per un libro.
Ha amato ripetere anche recentemente che Apple per come lui l'ha vista ha saputo mettersi all'incrocio fra le arti liberali e la tecnologia, e questa capacità e questa grandezza non è stata replicata da nessuna delle aziende concorrenti, sia che queste venissero dall'uno o dall'altro campo. La lezione di Apple e di Jobs, forse per sua fortuna, è rimasta inascoltata dalla maggior parte se non da tutte le aziende del settore, e ancora oggi ci chiediamo come sia possibile che ci siano settori di un mercato - vedi gli editori - che nonostante l'esperienza ancora non abbiano capito dove andrà il mondo e invece di anticiparlo, e di iniziare a guadagnare prima, siano lì a cercare di fermare il mare con una paletta di plastica.
Per tutto questo e per una quantità enorme di altre cose quell'uomo lì e quello che ha prodotto e ha fatto oggi è ricordato da una tale quantità di persone come fosse un presidente americano autore di una rivoluzione.
E probabilmente molti di loro, senza saper nulla se non uno "stay hungry and stay foolish" non sanno della sua grandezza. Non sanno che quell'uomo più piccolo di me è stato cacciato dall'azienda che ha fondato, e che - milionario - si è rimesso in gioco dall'inizio.
Non sanno di Pixar, non sanno degli screzi, non sanno della vita che ha vissuto.
Ma va bene così.
Si, era una rockstar, ed era una signora rockstar. Si era un inventore, un genio, un visionario, si ha fatto anche arte nel suo modo di guidare un'azienda, come solo lui ha saputo fare, con dei prodotti unici al mondo, mai imitati, progettati (e non solo nell'estetica, ma in tutto il possibile) intorno all'utente. E si, sapeva vendere, ma dov'è il problema in questo? Mica truffava la gente, vendeva cose. Creava falsi bisogni? Ma perfavore.
Io credo, e lo credo sinceramente, che chiunque oggi voglia fare o faccia impresa, si scontri con l'immagine di questo genio imponente sopra di lui.
Io credo che chiunque sia fuori dagli USA fatichi molto a misurarsi con questo genio qua.
Io credo che ci sia una enorme lezione da imparare di fronte a quest'uomo, e non è che sia necessario ma passata l'onda dell'emozione e del dispiacere, solo la storia ci dirà quanto grande fosse quest'uomo.
Io vorrei solo, e anche solo per oggi, che chi non ha mai capito, percepito, saputo comprendere la sua grandezza per oggi tacesse. Non dico loro di cambiare idea, chiedo loro solo di tacere, se volete per rispetto o per qualunque altra fottutissima motivazione vostra. State un po' zitti. Avrete tempo per fare battute e per dire stronzate, avrete anche tempo per capire di non essere nel giusto con il vostro veteromarxismo finto e peloso.
Altri di noi oggi stanno male, perché hanno perso una guida, un mentore, un signore che vendeva e realizzava splendidi giocattoli (si, anche quello, ebbene?), che ha saputo fare impresa e realizzare in quindici anni quello che nessuno nessuno nessuno al mondo avrebbe potuto, e che ha tracciato per loro una strada, che magari vorrebbero e non possono seguire.
Se non per Mr Jobs di cui vi sentite tanto nemici tacete per i vostri amici.
Comunque sia, ci mancherà, e a me mancherà parecchio, posso solo immaginare chi ha lavorato con lui.

P.S. la storia di Jobs è fondamentalmente americana, propriamente americana, unicamente americana. Lo so, lo sappiamo tutti. Ma è la miglior rappresentazione del titolo di questo blog.

martedì 24 maggio 2011

(Off Topic) Mi stupisco che lei si stupisca (#Sucate)

È buffo leggere, oggi, ancora qualcuno che si stupisca di trucchetti che fanno parte della rete forse da quando è nata.
Dopo un po' di tempo che giravo su IRC (1995-1996) alcuni simpaticoni hanno iniziato a divertirsi con poco mettendo questo topic nel canale: "Per avere l'OP usate la combinazione di tasti Alt-F4". L'OP era la possibilità di gestire il canale, ossia poter kickare qualcuno fuori dal canale o addirittura bannarlo, come anche gestire il topic, gli inviti e via discorrendo. Era molto ambita tra i frequentatori dei canali IRC. 
Ora: la combinazione Alt-F4, su Windows (dove quasi nessuno è avvezzo alle scorciatoie da tastiera come su Mac) non serve ad altro se non a chiudere un programma, come Cmd-Q su Mac. Per cui ogni tanto qualcuno ci cascava e non era altro se non un modo per dire: "non rompete le palle che volete l'OP", tanto non ve lo diamo.
Ci sono cascato? Certo, una volta. E ho fatto fare una risata agli OP, che i "niubbi" erano sempre quelli più buffi.
Quando sono passato a Mac, e avevo già mollato IRC per noia, su it.comp.macintosh, newsgroup molto frequentato su Usenet, ogni tanto qualche imbecille beccava il thread giusto in cui si parlava di Unix (c'era da poco Mac Os X, basato appunto su Unix), o comunque di comandi da terminale per risolvere un certo problema. L'imbecille trovato il gonzo (o niubbo) sufficientemente inesperto replicava alla sua richiesta di aiuto dicendo: "risolvi tutto dando come input questo comando su terminale: rm -rf / e inserendo la tua password di root". Ovviamente frotte di frequentatori meno imbecilli correvano a dirgli "no, fermo, non farlo!" visto che quel comando avrebbe azzerato completamente il contenuto dell HD del malcapitato niubbo.
Questi sono solo due esempi, uno innocuo l'altro meno, di scherzi fatti appunto a gente inesperta, niubbi in gergo, sul web, da almeno 15 anni, e probabilmente anche da prima.
Possibile che nel 2011 ci si debba stupire e dedicare addirittura un post di ferma critica pieno di parole e concetti per un fenomeno che non è altro che puro cazzeggio finalizzato, al solito, a incasinare un po' qualcuno che evidentemente non conosce ancora sufficientemente il mezzo che frequenta?
Ai tempi si "killava" una parola chiave, e via #Sucate non sarebbe esistito più per l'utente, risparmiando parole e bit di ferma condanna.
Non sposta un voto, e vorrei ben vedere, ma che c'entra?

lunedì 23 maggio 2011

Sky e Current Tv: mercato, non censura.

Come molti sanno da giovedì è in corso una sorta di battaglia mediatica sul futuro di un pezzettino dell'industria radiotelevisiva italiana. I due schieramenti sono Current Tv e Sky Italia.
Da giovedì mi sono espresso, e anche parecchio, su come vedevo la questione, mentre le cose si svolgevano a colpi di comunicati stampa e azioni di PR digitali e non, ma d'altra parte ho preferito aspettare a scriverne qua. Nel frattempo l'hanno fatto in parecchi, due persone che stimo prima di tutti gli altri: Simone e Max.
Sono intervenuto in diversi thread su Friendfeed e, quasi da solo al principio e poi insieme ad una schiera che andava popolandosi, mentre nelle prime battute Current Tv colpiva Sky con accuse di censura facevo presente ai partecipanti alle varie discussioni che in nessun caso, nemmeno nello strano sistema radiotelevisivo nostrano, una vicenda come quella di Current si poteva ascrivere ad un'operazione di censura.
Nella giornata di venerdì sono intervenuto insieme a Livia Iacolare di Current Tv, a Nicola Mattina e a Stefano Epifani su 140nn (è possibile riascoltare la puntata qua) (poi un giorno devo scrivere qualcosa anche sull'ottimo lavoro di @Ezekiel @Strelnik e di questo progetto), e anche lì ho ripetuto quanto ho iniziato a dire fin dal primo giorno.
Solo che poi sabato sono uscite diverse altre cosette, e adesso forse vale la pena spendere qualche minuto per fissare i concetti, per come la vedo io.
Partiamo da un paio di principi: anche nel nostro sistema tv sbilanciato Sky è libera di fare quel che vuole sui canali che ospita sul proprio pacchetto, tanto più che li paga per produrre contenuti (e gli garantisce pianificazione pubblicitaria). Ci si deve stare e nessuna operazione di cancellazione, rimozione, riduzione del budget o altro può essere chiamata censura se non in modo pretestuoso e finalizzato esclusivamente a prendere in giro i propri telespettatori.
L'altro è più semplice e scontato: qualunque canale che chiude è un dispiacere: sia per l'attività imprenditoriale interrotta, che per le professionalità che si trovano senza un lavoro, infine per il contributo che questo canale (e nello specifico un canale come Current) può dare al panorama tv non particolarmente variegato.
Detto ciò ritengo che il mercato sia l'unico giudice in queste cose, e il mercato non è solamente la quantità di persone che seguono un certo canale. Quando Al Gore ad Annozero diceva che un abbonato su due di Sky (se ho ben capito) guadava Current almeno una volta a settimana io onestamente non ci ho creduto, e non ci credo nemmeno adesso. Un po' perché sappiamo tutti cosa porta la gente su Sky, e non vedo, da quando esiste Current, un significativo aumento della sensibilità della gente su certi temi (come invece sarebbe lecito aspettarsi con un seguito così importante) né campagne pubblicitarie Sky finalizzate ad attirare nuovi abbonati ricordato che troveranno Current Tv sul proprio pacchetto.
Mercato libero, però, significa anche che esistono degli accordi fra aziende e questi accordi, quando sono a scadenza, vengono rinegoziati, rivisti, in base a criteri che sono effettivamente indiscutibili. Perché non riesco a pensare a nulla di più odioso in questo ambito di un'autorità che impone - senza che questo sia ripagato o giustificato da un contratto di servizio - ad un'impresa quali fornitori (di contenuti) deve avere. Nemmeno se questi fossero i migliori e i più importanti fornitori dell'universo mondo.
Se lo sono, il mercato li vorrà. Li vorrà l'editore perché gli porterà quattrini, o li vorrà per dare lustro alla sua piattaforma.
Questo ci riporta dunque al nostro primo principio per discutere: Sky era ed è nella piena legittimità di chiudere il rapporto con Current Tv. Che sia per un'audience troppo bassa, o per un'antipatia verso Al Gore, o ancora per una battaglia politica - come detto da Current - verso Current e Keith Olbermann.
Ci siamo?
Dopodiché: è fastidioso e  limitante che Sky sia l'unico player sul mercato digitale satellitare? Si, lo è, i regimi di monopolio non sono mai belli.
Però non siamo più nel 1995, il DTT, per quanto insulso e fastidioso per mille aspetti, ha aperto nuovi spazi nel mercato radiotv, oltre al satellitare. E il lavoro che stanno facendo La7 e Mentana dimostrano che c'è modo di spostare anche porzioni interessanti di audience dalle 6 big verso reti più piccole, come ha ricordato Nicola Mattina in uno dei suoi interventi su 140nn. Il punto è che il modello di business di Current Tv fino a ieri era: mi faccio pagare per andare in onda (da Sky e su Sky), ad oggi, se decidesse di aprire su digitale terrestre, dovrebbe invece andare in onda e cercare di farsi pagare gli spazi pubblicitari dagli inserzionisti, il che significa innanzitutto trovarli (ed è chiaro che non sia del tutto semplice se fai la politica di informazione indipendente di Current Tv) e poi cercare di andare a recupero dei costi che comunque non sono affatto pochi. Si inverte, insomma, tutto il discorso. Prima partivi con un budget sicuro, ora devi trovarlo, quel budget.
E qua ripeto quanto ho detto a Livia in trasmissione: non vedo chi potrebbe fare una scelta del genere se non il management di Current Tv e Al Gore stesso. Difficilmente si potrebbe trovare qualcun altro con le spalle sufficientemente larghe e disponibilità di risorse per trovare finanziatori.
Spero che Current Tv decida di fare questo passo e trovi le risorse per andare avanti in un modo davvero indipendente, con la libertà di dire quello che vuole e senza dipendere dalle decisioni di Sky, sia che queste vengano da Sky Italia o - come dice Current - che vengano dalla casa madre News Corp.

Sabato sono poi usciti fuori alcuni altri dati sulla querelle sia da parte di Sky che da parte di Current Tv. Salto subito al dunque: Cari amici di Current Tv, è vero che se Sky vi ha offerto 1 milione e rotti per mandare avanti il canale per un anno vi ha sostanzialmente tagliato le gambe (o vi ha detto: il resto trovatevelo da soli), perché con 1 milione di Euro non ci fai davvero praticamente nulla. È vero, ma cosa ci vogliamo fare? Questo vi autorizza a parlare di censura? Sappiamo entrambi che non si tratta di censura, e soprattutto piano piano lo sapranno anche i vostri telespettatori più affezionati. Insomma avete messo sul tavolo la vostra credibilità, che è quanto di più importante per una rete di news. È un tema che muove subito gli animi, qua in Italia, da Santoro, ma non credo sia stato il modo migliore per far arrivare la cosa al proprio audience. Leggo parecchi guru del Social Media, della conversazione online e roba simile ed è buffo non aver trovato forti critiche sulla linea che avete scelto.
È un tema importante, è un tema su cui non si scherza, questo della censura, in un sistema come il nostro. Se avete, come probabilmente avete, una forte coscienza del vostro ruolo nel mercato radiotv italiano impegnatevi ad aprirlo sempre di più, farete un favore a voi, al vostro audience, e a tutta l'industria radio televisiva, perché trasmettere non è un diritto inalienabile, né per voi né per altri, in condizioni di libero mercato.
Più mercato farà bene a voi, e a farà bene al resto del settore.

giovedì 21 aprile 2011

Un imprenditore ha bisogno di un MBA?

Stavo facendo una ricerca online su alcune cose e ho trovato quest'articolo di Steve Blank su Venturebeat che mi pare molto interessante, perché risponde ad una domanda che mi sono fatto molte volte, e che tanti amici e colleghi si sono fatti allo stesso modo.
Mi sono anche imbattuto in un'intervista a Guy Kawasaki su Forbes sullo stesso tema, in cui risponde - in modo forse più semplicistico - che no, un imprenditore non ne ha bisogno. Consiglio il primo articolo, però, lo trovo più strutturato e forse più interessante.

martedì 15 marzo 2011

That is why I am a fanboy.

3. The head of Apple International HR and of Japan Retail happened to be in Japan that week. Both came and spent the night with us in the stores and told everyone that if anyone wanted to try their luck getting home on their own, Apple would pay for any food, drink, or transportation fees that that person incurred on the way. "Your safety is most important."
[...]
I've been calling my girlfriend at work, asking her to come home, but because the Tokyo government hasn't said anything, her company won't let her leave. On the other hand, my manager at Apple called me to let me know that Apple will support any decision I make regarding leaving the country or the area, and that a job will still be waiting for me if I decide to come back. That is why I am a fanboy.

Via Kevinrose

lunedì 14 marzo 2011

Approcci motivazionali

Ho incrociato per caso questo video, che andrebbe consigliato a tutti i colleghi giovani imprenditori (agli altri non ci penso nemmeno tanto più) per la gestione delle proprie risorse umane.
Dura 10 minuti, prendetevi questi 10 minuti.

mercoledì 9 marzo 2011

Come far nascere un'impresa di successo (o almeno come non sbagliare troppo)

Da qualche anno, diciamo da 7, mi occupo di libera impresa privata. Nel senso che all'incosciente età di 24 anni ho aperto la mia prima piccola, piccolissima azienda. Anzi, esperimento di azienda.
In questi sette anni ne ho fatti diversi di errori, ma da dove sono partito a dove sono adesso (membro del CdA con la delega alla strategia economica e finanziaria oltre che ad una business unit) forse non è cambiato moltissimo del mio approccio.
O meglio, sono state molte le scoperte. Da imparare a gestire una trattativa (forse era più semplice e non è detto con peggiori risultati quando me ne occupavo con meno esperienza, meno studio e più "pancia") a gestire risorse umane, a rendersi conto che esistono dei costi iniziali mai eliminabili, e che esiste il costo del proprio lavoro che, senza far drammi, va contato anche se magari non sarà mai retribuito. Perché, vale anche per il lavoro dei propri soci, va benissimo iniziare senza prendere un soldo, ma fa bene alla gestione della fase di partenza sapere quanto avresti dovuto spendere per la tua professionalità.
Questo perché in massima parte le piccole imprese con cui mi sono confrontato, mi hanno coinvolto o mi hanno chiesto un aiuto erano sempre attività dove l'imprenditore non era solo un socio di capitali, ma anche parte integrante e attiva delle professionalità coinvolte.

Tra le cose che ho imparato in questi anni c'è senza dubbio la capacità di capire se un'impresa in fase di startup si sta muovendo bene oppure no.
Ho aiutato almeno una decina di imprese a nascere, alcune con risultati buoni altre meno, ma bisogna dire che chi ha seguito il buon senso ha sempre ottenuto risultati.

Buon senso vuol dire contestualizzare il proprio business, conoscerne la dimensione, pensare in grande con la coscienza di essere piccoli. Ho un amico che ha fondato un annetto fa un'impresa interessante nel panorama editoriale italiano. Pensa in grande, agisce in piccolo, l'ho consigliato per la forma societaria, per il marketing, per la comunicazione, senza percepire alcun onorario. Lui ha fatto il suo lavoro, che era la cosa che gli riusciva meglio. E ora inizia a raccogliere risultati.
Non è certo merito mio, ma sicuramente chi ci è già passato è in condizione di dare importanti consigli a chi sta iniziando.

Bisogna anche avere una buona dose di umiltà, ed è la cosa più difficile da avere davvero. Perché i soldi sono i nostri, e vogliamo decidere come spenderli, è normale. D'altra parte se abbiamo scelto dei consulenti, per esempio dei grafici o dei copy, non possiamo pretendere di metterci al loro posto. Non è il nostro mestiere, e sarebbe un pessimo modo di cominciare anche se fosse il nostro mestiere. Avrete sempre bisogno di un occhio esterno.
Fidatevi dei vostri collaboratori, altrimenti fate le cose da soli.
Anzi no, non fatele da soli.
Negli ultimi mesi mi sono trovato in qualche modo a parlare con due imprenditori, uno che tentava di entrare nel ramo della moda, l'altro nel turismo.
Uno di questi due aveva preteso di essere il centro unico della propria impresa. Tanto si fidava delle sue capacità che aveva ritenuto di poter fare tutto da solo, dal disegno della linea di abbigliamento al marketing, alle vendite, alla produzione.
L'altro, quello del turismo, aveva delegato la produzione di alcuni materiali di comunicazione ad un grafico. Però, in spregio di qualunque regola, pretendeva di intervenire sull'opera del suo consulente, da lui scelto, imponendo le proprie idee che, valide o no, soprattutto andavano spesso e volentieri a violare quelle regole più o meno importanti che è necessario sapere per fare un layout grafico, di qualunque tipo.
Pensate in grande, ecco cosa significa: significa non pensare di essere dei geni, di poter fare tutto da soli. E se davvero pensate di essere geniali allora circondatevi di collaboratori geniali, del meglio che avete. Guardate i collaboratori dei grandi imprenditori. Cook, Ive, in Apple, sono due teste di primo piano. Possiamo negare la grandezza di Jobs? Ma cosa sarebbe Jobs senza quei collaboratori?

Pagate i vostri collaboratori, pagateli, preferibilmente in contanti, ma se proprio non ne disponete (e allora già qui abbiamo un problema, poiché nel migliore dei casi non avete pianificato la spesa, nel peggiore state tentando di fare impresa senza un euro di partenza) almeno pagateli in quote della vostra attività. E questa, comunque, è una estrema ratio, perché non è affatto detto che loro vogliano avere partecipazioni, per cui potrebbero trovarsi in imbarazzo. Non tutti vogliono avere quote di aziende.
Pagate tutti, e guai a voi se quella spesa non l'avevate pianificata.
Pagateli anche poco, ma riconoscete il loro lavoro. Lo fanno per lavoro, è quello che darà loro da vivere. Si renderanno conto che siete in una fase iniziale e non vi proporranno onorari salati, e se lo faranno sarete liberi di non accettare.
Ma pagateli, perché dovete riconoscere quello che fanno. Non è un hobby, anche se, per dire, per voi devono comporre un jingle. È il loro lavoro, e il primo passo per avere una buona impresa di successo è rispettare il lavoro degli altri e ridimensionare il proprio, perché nessuno vi impone di fare l'imprenditore, ci sono tante scelte nella vita, molto più rilassanti.




mercoledì 23 febbraio 2011

Non c'è mai abbastanza tempo

Fare impresa non è affatto semplice. Sei semplicemente strapieno di problemi.
È una catena, di quelle strette e non c'è modo di allargarla. Il networking, la politica, l'aspetto commerciale, la gestione dell'azienda, le risorse, le risorse umane. Solo per dire alcuni problemi.
Inoltre in Italia, dove il tasso di innovazione è decisamente basso, fare impresa riesce ad essere più complesso ancora. Il nostro sistema capitalistico, semplicemente, non riesce ad essere un sistema a cascata. Nel mondo delle piccole e medie imprese nel settore dei servizi, dove bazzico da un po' di tempo, non esiste imprenditore che abbia voglia di rischiare qualche decina di migliaia di euro sull'idea di un'altro suo collega, più giovane.
Eppure in un Paese con un tasso di lavoratori autonomi e piccole imprese sarebbe naturale che ci fosse un giro di capitali anche fra imprenditori, finalizzati ovviamente alla produzione di ricchezza.
Ma si diceva dei problemi, che sono così tanti che ad oggi raccontare le nostre attività come impresa è sempre più difficile. O meglio, dovresti pagare persone apposta per questo, e non sempre ci si riesce.
Per cui, delle volte, si mette su un blog, come questo, per parlarne.