venerdì 13 aprile 2012

Una nuova esperienza di esplorazione delle news.


Ogni mattina ci svegliamo e cerchiamo di mettere ordine all'enorme flusso di informazioni che ci proviene da qualunque sorgente (digitale, analogica) che abbiamo intorno.
Ogni mattina molti di noi aprono Facebook, Twitter, email, il sito del quotidiano preferito e cercano di comprendere il "big picture", cosa sta succedendo nel mondo.
Fino a una decina di anni fa (una quindicina per quelli che come me che hanno avuto un approccio al web verso la metà degli anni 90) questa stessa azione si compiva scorrendo un quotidiano, magari acquistato o magari al bar, tra un morso al cornetto e un sorso al cappuccino.
Nel frattempo l'informazione ci ha decisamente travolti, eppure rimane estremamente difficile avere un quadro generale di quello che sta davvero succedendo.
"La gente al bar non parla di…", siate liberi di inserire quello che volete nei puntini di sospensione. Eppure il mio quotidiano apre proprio con quella notizia lì, quella di cui al bar - dice - non parla nessuno.
Perché poi a complicare le cose non basta la quantità di informazioni, ma c'è quella cosa che si chiama "agenda". Ogni quotidiano ha la sua agenda, e alcuni quotidiani stabiliscono l'agenda del Paese. Di cosa si deve parlare, di cosa è importante parlare.
Diciamo meglio: ogni fonte di informazione ha la sua agenda, e propone (impone?) la sua agenda. Questo in fin dei conti vale anche per noi: su Twitter, quando proponiamo una notizia, seguiamo la nostra personalissima agenda.
Per cui ecco qui due problemi: sovraccarico di informazioni e agenda. Due cose che non ci permettono di capire effettivamente di cosa si sta parlando, quali sono i temi veramente importanti.
Oggi con i social media, e in particolare con Twitter, nascono delle vere e proprie occasioni di scollamento fra i prodotti editoriali e "la gente", veri e propri buchi che vengono rattoppati con l'odiosa dicitura "e il popolo di Twitter in rivolta contro [inserisci argomento a piacere magari bucato dal giornale].
Inoltre i social media spesso dicono quello che (molti) prodotti editoriali non possono dire, perché sono fatti dalle persone, non sono, appunto, prodotti. E tante persone che parlano di qualcosa fanno un trending topic. 
Ecco qui che per capire il big picture alle volte ci affidiamo a questo parametro, che rischia di essere un po' superficiale.

Con la mia azienda, insieme ad altri due partner e ad un partner tecnologico, stiamo cercando di cambiare il paradigma, e lo stiamo facendo tramite una startup.
Squer.it, come ha già accennato Luca, proporrà un modo nuovo di vivere l'informazione, che ponga rimedio proprio a questi scollamenti e a questo difetto sistemico attuale.
Cercando di non impoverire ma proponendo un sistema per approfondire i temi di interesse degli utenti, allo stesso tempo senza perdere il quadro generale. 
Un'idea che ha una vocazione internazionale e che vuole proporre un modo davvero nuovo per esplorare l'informazione.

Tutto il team è estremamente eccitato in queste ore in cui stiamo per dirvi qualcosa di più, e non vediamo l'ora di mostrare a tutti voi di cosa stiamo parlando.
Speriamo che il panorama delle news italiano e internazionale possa essere arricchito dal nostro contributo, e speriamo che tutti voi possiate accoglierci con la massima benevolenza. Vogliamo partecipare alla discussione ma soprattutto vogliamo facilitare la discussione e la conversazione sui temi più importanti, giorno per giorno.
Quando solleveremo il sipario inizieranno i giorni duri, pieni di soddisfazioni e critiche, e bisognerà cercare di prendere le une come le altre, entrambe non troppo seriamente né troppo sotto gamba.
Tutte le nostre energie sono veicolate a cercare di offrire a tutti voi qualcosa di bello e funzionale, che possa permettervi di informarvi nel modo più produttivo e anche divertente (si, potrà essere divertente e gratificante). Ed estremamente diverso, nelle idee, nelle intenzioni, nelle fonti e nella gestione del concetto di informazione, da tutto ciò che c'è in rete in questo momento.
Nell'attesa di dirvi di più non posso non invitarvi a seguirci su Twitter e a lasciare la vostra email sul nostro sito. Vi scriveremo una volta sola: per chiedervi di unirvi a noi.
Nel frattempo, se volete, fate girare la voce.

martedì 3 aprile 2012

Uno su Tre. Disoccupazione giovanile al 31.9%

Devo dire una cosa antipatica, perché mi frulla in testa da parecchi giorni.
Una cosa che alle volte mi affatica anche solo pensare, perché la mia formazione è sempre stata differente.
Dopodiché esiste la vita reale, che prescinde un po' dalla formazione che uno ha, e si è costretti a farsi i conti.
La situazione che stiamo vivendo in questo momento è decisamente critica, e non c'è nessun bisogno che io mi metta a sprecare colpi sulla tastiera cercando di delinearla. E tendenzialmente io sono molto più critico con quella fascia di popolazione che più o meno appartiene al mio lato della barricata (ossia con gli imprenditori, piuttosto che con chi è dipendente / collaboratore, insomma con il lavoro), perché mi piacerebbe che in questo Paese ci fosse una classe imprenditoriale diversa, più fresca, e anche più civile.
Ma detto questo c'è da dire che in questo momento storico ci vorrebbe anche una generazione più fresca, diversa e più civile, soprattutto per quanto riguarda il proprio rapporto con il lavoro.
È ovvio che c'è qualcosa nel sistema che non funziona se una persona su tre non trova lavoro in quella fascia d'età. C'è evidentemente qualcosa da correggere e sono il primo a dirlo, e con questo chiarisco la mia posizione.
Ma allo stesso tempo c'è anche qualcosa che non funziona nel rapporto con il lavoro con tutte e tre quelle persone prese in esame.
Perché dal mio punto di osservazione, che è quello di una piccola impresa il tipo di rapporto con il lavoro è veramente troppo facilone.
E quando vado a fare qualche master, anche lì, vedo una superficialità mica da nulla.
I master ormai servono esclusivamente per comprarsi un posto in azienda. Tanto vale portare alle aziende un finanziatore (i propri genitori) e dirgli: senti, questi son 5.000 euro: me lo paghi lo stipendio per x mesi? Così vedi come lavoro e magari ti viene il ghiribizzo di prendermi in organico.
Ma poi come lo spendo quel periodo di lavoro in azienda?
Perché il nodo è tutto qui.
Cercare di entrare dentro i flussi aziendali (anche quelli di una piccola impresa, anzi, forse soprattutto, poiché è molto più semplice), darsi una spinta di reni tutti i santi giorni e dimostrarsi indispensabili, portare le persone che ti stanno sottopagando, o addirittura non pagando, a pensare:"tra sei mesi questo se ne va e io come faccio?".
Perché altrimenti, con il mercato del lavoro che c'è oggi, l'azienda - che ricordiamolo sempre non è un ente assistenziale né un ente di beneficenza - è portata a dire "avanti il prossimo", e questo perché il sistema attuale (quello che crea il 30% di disoccupazione giovanile) lascia ampia delega a chi dovrebbe dar lavoro, permettendogli di stabilire le regole di un mercato in cui l'unico potere contrattuale è in mano a lui. Facile!
Non è che sia molto più complesso: se c'è abbondanza di offerta di gente entro i 25 anni e ho bisogno di gente di valore basso, non particolarmente skillata, o comunque riformare la risorsa una volta ogni sei mesi non è un problema, la andrò a prendere da lì. Ma ci vuole tanto, santocielo, una volta che si è avuta quella possibilità, a far capire il proprio valore? Ad acquisire potere contrattuale? A fare bene? Certo non è una cosa che si ottiene senza fatica, ma è l'unica possibilità che hai, altrimenti facevi meglio a risparmiare quei soldi.
Io questo mi chiedo, perché questo è un dato di realtà incontrovertibile che distorce inevitabilmente nella figura dell'imprenditore che non concepisce il contratto a T.I. e addirittura confronta la propria posizione con quella del collaboratore ("E che ho le ferie pagate io? Che ho la certezza dello stipendio? Io sono il primo precario della mia azienda!" parole sentite dire da un giovane imprenditore).
Quelli che si esprimono così sono imbecilli, ma il punto è che hanno ampia libertà di esserlo.
E si, bisogna far qualcosa, ci piacerebbe tanto che venissero fuori i migliori, da una parte e dall'altra, e stabilissero le regole, e chi non le rispetta - da una parte o dall'altra - a casa, a far qualcos'altro, che evidentemente più di tanto quello che fai non ti interessa, se non sei disposto a combattere.
Perché in fin dei conti, data la situazione attuale, è un dato di fatto che devi essere disposto a combattere duramente per rompere un meccanismo che permette con grande comodità alla tua azienda di passare da te al nuovo venuto in meno di un battito di ciglia.